Il sito ufficiale della scrittrice britannica palestinese Selma Dabbagh si apre con la foto di una statuina in metallo, una statuina votiva che riproduce un’immagine femminile, evocativa della Dea Madre in area siro-palestinese, riconoscibile con i tanti nomi di Ištar, Eštar, 'Aštar, Ištar, Ashtar, Astarte/Tanit, Athtar.
Divinità astrale, stella Venere e anche semplicemente “Signora”. Astarte, il cui culto è attestato presso i Filistei (I Re [Sam.], XXXI, 10), con la caratteristica che in origine la collega a una concezione naturistica, è la terra madre, progenitrice comune di tutti gli esseri viventi: piante, animali, esseri umani, fecondata dal suo sposo celeste, il dio Baal.
Nel riquadro cliccabile per entrare nella homepage, la figurina snella di Astarte prende il posto della lettera "L" di Selma. Questa scelta iconografica rappresenta nel modo migliore l’autrice, che si lega alle origini più antiche della sua terra d’origine, abitata dal Popolo del Mare che dette nome a quelle terre, i Pelistim/Filistim, già dalla fine del II millennio a.C.Dabbagh, nata a Dundee in Scozia da madre inglese e padre palestinese originario di Yāfā/Jaffa, con un nonno noto durante la dominazione britannica per il suo attivismo politico. Nel 1948, la famiglia fu obbligata ad abbandonare la casa natia: suo padre, ragazzino di dieci anni, fu colpito da una granata lanciata dai gruppi sionisti; la famiglia si rifugiò in Siria e poi in molte parti del mondo.
Oggi, Selma Dabbagh vive a Londra, ma ha vissuto in Arabia Saudita, Kuwait, Francia e Bahrein.
Ha svolto la professione di avvocata per i diritti umani a Gerusalemme, Il Cairo e Londra.Autrice acclamata di opere come We Wrote in Symbols: Love and Lust by Arab Women Writers, romanzi, racconti, articoli, recensioni e blog su importanti riviste come London Review of Books e GQ in India, partecipazioni a programmi radiofonici e festival letterari, ha raggiunto la notorietà subito con il suo primo libro, Out of it, pubblicato in inglese nel 2011/2012, poi tradotto in italiano con il titolo Fuori da Gaza, in francese con Gaza dans la peau e in arabo con Gaza tahta al Gild (ossia Gaza sotto la pelle).
Il testo pluripremiato è stato indicato nel 2024 da The Guardian come il miglior libro per spiegare il conflitto Palestina-Israele. “Incendiario” è l’aggettivo utilizzato da BBC Radio per presentarlo. Fuori da Gaza segue le vite di Rashid e Iman, che si barcamenano e desiderano un futuro nel bel mezzo dell’occupazione, del fondamentalismo religioso e delle divisioni tra le varie fazioni palestinesi. Ambientato tra Gaza, Londra e il Golfo, affronta le frustrazioni e veicola le energie del mondo arabo contemporaneo. Con umanità e sense of humor, permette di vivere una storia di “ordinaria” quotidianità palestinese.
Gaza è sotto bombardamento israeliano, sono le 8:00 di sera e Rashid sta fumando uno spinello sul tetto della casa di famiglia. Ha appena ricevuto una notizia importante: ha vinto una borsa di studio per Londra, la via di fuga che stava aspettando. Iman, la sorella gemella, un'attivista molto rispettata per l’impegno sul campo, viene contattata dall’ala islamica del centro culturale che frequenta: le propongono di farsi esplodere in un attentato suicida.
Presentato anche a Napoli, dove ho avuto modo di conoscere la scrittrice, empatica e accogliente, non si può fare a meno di riflettere con orrore e dolore su un profetico brano del libro:
"Sì, quel posto! Che ne dici? Che ne dici di tornare a vedere in che condizioni è? ...Non sarebbe mai potuto tornare in quel posto, era stato sigillato per sempre, fatto saltare in aria con la dinamite, spianato coi bulldozer, tutto asfaltato, e ora ci vivevano sopra altre persone.” (Out of it, 2012)
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