La voce delle donne è una rivoluzione - Ghada Amer (1963) è un’artista egiziana di fama internazionale. Quadri, sculture, installazioni in spazi verdi pubblici si appropriano e trasformano le tradizioni legate ai concetti di identità culturale, fondamentalismo religioso, oppressione delle donne, scompaginando la loro natura dal loro interno. 

Un’opera dell’artista datata 2022, alla luce del moto di indignazione che ha percorso l’opinione pubblica di tutto il mondo, quando si è diffusa la notizia dell’editto dell’emirato talebano dello scorso agosto 2024 che vieta alle donne di cantare, recitare o leggere ad alta voce in pubblico, offre lo spunto per una ampia riflessione. L’opera si chiama ”La voce delle donne è una rivoluzione”. Occorre interrogarsi sul perché il suono della voce femminile crei tanto turbamento se non terrore nei regimi oscurantisti e liberticidi. L’esclusione delle donne dallo spazio pubblico in ambito islamico si basa su un hadith, ossia la tradizione dei detti del Profeta, discusso e controverso. Nel 1992 la sociologa marocchina Fatima Mernissi con “L’harem poltique.

Le Prophète et les femmes” in italiano “Donne del Profeta” poneva la questione sulla legittimità dell’hadith misogino, strategicamente e ampiamente utilizzato da alcuni politici e teologi ortodossi per denunciare la presenza delle donne come fonte di sconvolgimenti sociali e politici e di caos. Il corpo della donna deve essere coperto da un velo, e la voce della donna deve essere messa a tacere perché è scandalosa, riprovevole. Introduce confusione religiosa, discordia sociale e conflitti politici. L’hadith riferito da Abu Bakra, governatore di Bassora, e secondo Mernissi, confutato da ‘Aisha autorevole moglie di Muhammad, riportato nella raccolta di al Bukhari(808-870) enuncia: ”Mai conoscerà prosperità il popolo che affida i suoi interessi a una donna”.La protesta contro l’atto afghano si è levata alta appresa la notizia, non senza qualche ipocrisia, nel mondo occidentale, a cui però non guasterebbe ricordare che a differenza del suo limitarsi a una riprovazione di facciata, da molto tempo le donne musulmane, usano la loro voce come strumento di lotta per l’affermazione dei loro diritti fondamentali e la loro presenza a pieno titolo nello spazio pubblico.

Non a caso “La voce delle donne è una rivoluzione” è uno slogan del movimento femminista egiziano, un gioco di parole urlato per le strade durante le primavere arabe, assunto della Coalizione delle donne per la rivoluzione nella Giornata internazionale della donna nel 2013, e utilizzato dall’artista Ghada Amer nella sua retrospettiva al MUCEM di Marsiglia con una installazione all’aperto in cui per la prima volta ha rimaneggiato le lettere dell’alfabeto arabo per il suo giardino più denso di carica politica. Un proverbio in arabo, molto conosciuto, che trae spunto proprio dal famoso hadith citato da Bukhari, conclude lapidario:” La voce delle donne è una vergogna”. Per capire l’impatto politico e artistico del lavoro di Amer occorre fare un piccolo sforzo di attenzione, anche non conoscendo la lingua araba, perché con il cambio strategico di una sola lettera del proverbio, se ne sovverte il messaggio, eliminando definitivamente l’onta associata alla voce femminile. Nel proverbio la parola vergogna è ‘aurah, scritta con una lettera iniziale che graficamente appare, leggendo da destra verso sinistra quel cerchietto, aperto sulla destra: عورةCambiando solo la lettera iniziale la parola si trasforma così ثورة ‘aurah diviene thaura, al cerchietto spezzato si sostituisce la lettera con tre punti in alto, e così la parola manchevolezza/vergogna cambia, ahura con la T è thaura che significa rivoluzione.

L’installazione usa lettere in acciaio, cave e riempite di carbone, un riferimento diretto alla tradizione di bruciare le streghe e quindi di mettere a tacere le donne sovversive in generale, non stigmatizzando il tema del silenzio delle donne come problema unicamente arabo o islamico; ovunque nel corso della storia le donne hanno lottato per far sentire le proprie voci. L'intero spazio intorno alle parole arabe è riempito da piante. La scelta di utilizzare l’elicriso o immortale, una pianta medicinale mediterranea che non appassisce mai, mantiene il suo profumo e il suo colore giallo unico anche dopo essere stata recisa, è segno di resistenza e perseveranza delle donne di fronte all'estremismo religioso, al sessismo, alla violenza e al patriarcato. Lo slogan “La voce delle donne è una rivoluzione” non si ferma solo alle piazze di protesta e all’espressione artistica. In Algeria “La voce delle donne è una rivoluzione” veicola le posizioni dei movimenti femministi attraverso radio, podcast e multimedia.(cfr https://untoldmag.org/a-womans-voice-is-a-revolution.../).

La voce come strumento politico per affermare i diritti delle donne è dunque elemento ineludibile; è compito degli organismi internazionali, a cominciare dalle Nazioni Unite, con le società civili in tutto il mondo, riaffermare il diritto delle donne alla parola, e ci si impegni quando leggi assurde decretano la scomparsa di voci e volti di donne a fare in modo che tali leggi siano considerate un reato contro i diritti umani, nello specifico" reato di apartheid di genere" non solo in Afghanistan ma ovunque nel mondo.

© riproduzione riservata, tutti i contenuti sono frutto dello studio e dell'opera divulgativa di Giuliana Cacciapuoti. Per qualsiasi richiesta scrivere a info@giulianacacciapuoti.it

Giuliana Cacciapuoti - esperta in cultura islamica e del mediterraneo

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